giovedì 3 novembre 2016

#Drtheface Compagni di Viaggio

 Mi piace pensare ad ogni intervento che pratico come ad un viaggio, che inizia con quel contatto, con quel fugace e al tempo stesso profondo impatto dei nostri occhi e delle istintive sensazioni che questi tradiscono subito senza possibilità di inganno.


Compagni di Viaggio!

 DR. ANTONIO DISTEFANO
Specialista in Chirurgia Plastica
Ricostruttiva ed Estetica

Uno degli aspetti che nel corso della mia vita professionale hanno contribuito a darmi la
consapevolezza di aver scelto la strada giusta è senza dubbio la collocazione un po’ “borderline”
della chirurgia estetica all’interno del vasto cosmo della medicina. Siamo tutti di una complessità
misteriosa e in un certo senso frammentata: la storia della filosofia ci mostra come il problema
forse più eterno sia la ricerca, la mai compiuta analisi del punto di contatto tra spirito e materia, tra
dimensione psichica e fisica.
Non credo esista un campo di confronto pratico in cui l’esperienza di questo confine si manifesti in
modo più chiaro che nella chirurgia estetica. La connotazione fondamentale risiede nel suo essere
in un certo modo un atto di libertà. Ogni considerazione sul significato della medicina estetica deve
passare dal confronto con questa domanda: qual è la libertà che rende possibile?
Non serve sottolineare lo stigma con il quale a tutt’oggi la medicina estetica viene spesso bollata
come pratica quasi inutile, come incapacità di accettare un fatto incontrovertibile come lo scorrere
del tempo, finanche come deliberata menzogna su quello che dovrebbe essere un aspetto “reale”.
Certamente è vero che questo sentire comune ha una chiara origine nell’essere spettatori,
specialmente televisivi, di interventi disastrosi, con visibili e naturalmente sgradevoli risultati di
alterazione dei lineamenti, frutto di eccessi e di pratiche sconsiderate di cui è inutile negare
l’esistenza.
Ritengo che l’obiettivo a cui dovrebbe tendere ogni intervento estetico non possa essere che il
ripristino di qualità andate perdute, il recupero di tratti già posseduti, la correzione di tratti
manifestamente disarmonici e mai una modifica che porti a divenire qualcosa che effettivamente
non si è.
Eppure esiste a mio avviso una questione più sottile, che non si lascia esaurire in semplici
considerazioni di “buona pratica”. In fondo, fatti salvi i casi in cui un dismorfismo anatomico sia tale
da provocare delle concrete indicazioni funzionali, un intervento estetico non è qualcosa di
strettamente necessario per la salute. Proprio in questo altro aspetto “borderline” della chirurgia
estetica trovo una delle sfide più affascinanti del mio mestiere e insieme una delle migliori
motivazioni per scrollarsi di dosso timori e pregiudizi: l’intervento estetico ha tutta la sua ragion
d’essere in quello che personalmente ritengo un libero atto di amore verso sé stessi e, perché no,
di legittima e personale vanità.
Qui appare chiarissimo il punto di contatto, diviene evidente come sia i termini “medicina” che
“estetica” stiano in un certo qual modo reciprocamente stretti l’uno all’altro: si tratta pur sempre di
una “cura” nel senso in cui si vuol recuperare un equilibrio del proprio corpo e insieme di “estetica”
nel senso che questo equilibrio perduto è qualcosa che ha a che fare con una libera “cura” di sé
stessi. Verrebbe da considerare, con uno slancio linguistico forse un poco azzardato, come la
polisemia del termine “cura” non sia casuale. Certo il rischio resta dietro l’angolo: in fin dei conti, da
dove abbiamo la sicurezza che questa libertà sia davvero tale, e non sia il frutto di necessità solo
ed esclusivamente psicologiche?
In che momento la libertà della chirurgia estetica è una libertà autentica, e in che momento si tratta
invece di qualcosa di illusorio o, ancor peggio, di compensatorio di problemi di altro ordine?
La risposta a questo interrogativo risiede integralmente nella consapevolezza della natura di
quanto si compie, soprattutto per quanto riguarda la persona del chirurgo. Mi piace pensare ad
ogni intervento che pratico come ad un viaggio, che inizia con quel contatto, con quel fugace e al
tempo stesso profondo impatto dei nostri occhi e delle istintive sensazioni che questi tradiscono
subito senza possibilità di inganno.
Potrebbe essere l’inizio di un percorso che terminerà dopo lungo tempo e che porterà con sé una
memoria ed un significato a lungo termine indelebile per entrambi.
La simbolicità della destinazione nella mente del paziente porta il conducente del viaggio
all’obbligo deontologico di interpretarla correttamente. L’esperienza e la professionalità nella parte
psicologica di analisi e valutazione del desiderio che spinge all’intervento sono importanti per un
buon chirurgo plastico almeno quanto la perizia e l’abilità nella pratica chirurgica. Quando ci sia la
possibilità che il ricorso alla chirurgia sia una maschera per esigenze di altra natura un buon
medico deve saperlo riconoscere e spiegare al paziente che non può portarlo alla destinazione che
desidera.
È questo terzo punto di contatto tra mente e corpo a costituire la vera chiave di volta della chirurgia
estetica, la pietra indispensabile senza la quale ogni sezione dell’arco, per quanto ben realizzata, è
destinata a crollare miseramente. Percorrendo una strada su un mezzo che da soli non sapremmo
pilotare, la capacità del conducente è sicuramente fondamentale, ma il centro del percorso resta il
viaggiatore. È in fondo un’altra applicazione del saggio modello “orizzontale” della cui importanza
ci si inizia fortunatamente a rendere conto in tutte le branche della medicina, in cui il risultato
migliore si ottiene soltanto quando il paziente sia accompagnato e valutato nella sua intera,
irriducibile complessità, e mai trattandone un solo aspetto come se fosse possibile isolarlo da tutti
gli altri.
Un viaggio libero, in cui la certezza di una guida affidabile e consapevole è la condizione
necessaria per poterselo godere al meglio, perché possa essere veramente il meritato frutto di una
cura per sé stessi. In una curiosa sintesi anche qui il termine “cura”, nel suo senso
fenomenologico, si manifesta evocativo: nella cura è intrinseca la dimensione della progettualità.
Un progetto di amore e di maggior bene per sé stessi, che si compie in un viaggio unico e
irripetibile alla riscoperta guidata di un equilibrio tra psiche e corpo: questo è il senso più autentico
e profondo della chirurgia estetica. E come in ogni viaggio, il momento culminante, che da solo
vale ogni fatica, è quando la meta già viene intravista: non esiste emozione più grande di trovarsi a
condividere la felicità di aver reso possibile un libero atto di amore per sé stesso di un sorridente
compagno di viaggio.



 DR. ANTONIO DISTEFANO
www.antoniodistefano.it
www.artesteticamilano.it
info@artesteticamilano.it
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